Rivista per le Medical Humanities

The Straight Story
Regia David Lynch, Usa-Francia, 1999

Alvin Straight, pensionato settantenne che vive nell’iowa attorniato
da amici, ha un malore e cade perdendo conoscenza.
La figlia lo costringe ad andare da un medico, che lo invita a prendere
sul serio la malattia e a farsi curare. Egli però rifiuta di sottoporsi
a ulteriori esami e non imbocca la procedura medica
prevista. Da uomo semplice e schietto qual è, reagisce in modo
conforme alle sue esigenze più sentite. Alvin è «straight», di nome
e di fatto.
La sua caduta è un segno tangibile della malattia, che gli impone
un momento di distanza e sospensione dal quotidiano. Dalla
consapevolezza dell’età che avanza e della malattia Alvin attinge
la sua determinazione a scrivere l’ultimo capitolo della sua
vita cercando di esser fedele ai suoi valori.
Il tempo stringe – sia per lui sia per l’amato fratello, anch’esso
gravemente malato – e lui rallenta. Decide di recarsi dal fratello,
che abita lontano, per riconciliarsi dopo anni di insensato (ora
lo capisce) silenzio reciproco. Per compiere questo viaggio si servirà
dell’unico mezzo a lui congeniale, data la sua ipovisione:
una tagliaerba. Alvin non è stupido, sa che così impiegherà settimane
per raggiungere il fratello; ma sa anche che questo viaggio
deve compierlo da solo e a modo suo. L’insensatezza della sua
risoluzione è tale solo in apparenza, poiché in realtà essa è carica
di possibilità di senso. Andando piano, guardando il mondo da
vicino (bellissime le lente soggettive dal suo inusuale veicolo),
vede e intende cose che uno sguardo frettoloso non può cogliere.
Alvin non si sottrae alla realtà, ha capito che sta giungendo al
termine del suo percorso e ha deciso di dedicare l’ultimo tratto
alla riflessione sul senso della sua vita. Riordinando la sua esperienza,
ne coglie i valori guida e a partire da questo momento
nulla gli impedisce più di lasciarsi sfuggire delle occasioni preziose
per dire a se stesso e agli altri la sua verità. La sua franchezza
nell’abbordare argomenti importanti, ma che per uno strano
pudore si tacciono e evitano ad arte, lascia chi lo incontra felicemente
sorpreso e sollevato. Tutti infatti hanno i loro problemi
e sono lieti di poterne parlare con qualcuno che li ascolta con
semplicità e umanità. L’incontro con la ragazza incinta e il vecchio
tormentato dai suoi ricordi di guerra sono forse le situazioni
più emblematiche di questa sua dote. Di fatto Alvin offre a
chi incontra l’occasione che lui stesso ha colto quando ha deciso
di mettersi in viaggio sulla sua falciatrice.
Non che fra le persone incontrate si verifichino eclatanti redenzioni
o cose simili. La loro svolta non è un cambiamento di direzione,
è un cambiamento in profondità. Ciascuno di loro nel
chiacchierare con Alvin ha modo di conoscersi meglio, di rallentare
per guardare a se stesso con maggiore sincerità e benevolenza.
Alvin ha superato quella sorta di reticenza che spesso
ci impedisce di andare verso l’altro per tendergli la mano in un
gesto di solidarietà. Proprio lui che ormai vede e cammina a
fatica è capace di aiutare i più giovani e in miglior salute. in questo
senso, l’ultimo incontro, quello col fratello, è paradigmatico
di due atteggiamenti diversi. Alvin va, fisicamente e col cuore,
verso il fratello, mentre quest’ultimo s’è chiuso in se stesso
e nella sua fatiscente catapecchia.
I due fratelli non si abbracciano, come ci si potrebbe aspettare
da chi si rivede dopo dieci anni di doloroso silenzio. Il fratello,
indicando col capo la falciatrice e il suo rimorchio, gli chiede
in modo un po’ brusco: «Hai fatto tanta strada con quel coso
per venire da me?». Deglutisce e, rincuorato, alza gli occhi al
cielo – quel cielo che da piccoli avevano così spesso contemplato
sognando spalla a spalla. È sollevato perché Alvin ha compiuto
anche per lui quel gesto d’amore che lui stesso, irrigidito nella
propria vita presente, non aveva avuto il coraggio d’intraprendere.
Quasi vi fosse un linguaggio dell’affettività che da adulti si
può scordare, mantenere vivo o reimparare.
A questo punto i due fratelli possono morire in pace e il film può
terminare: se fosse finito prima, non avremmo saputo se Alvin
sarebbe riuscito o meno a riordinare la sua vita e come lui saremmo
rimasti, come si usa dire, con un peso sul cuore.

Anne Kauffmann
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