Rivista per le Medical Humanities

Tristana
Regia Luis Buñuel, Francia-italia-Spagna, 1970

 «Quello che pretendo fare attraverso i miei film è di inquietare,
sovvertire le regole di un conformismo che vuol far credere
alla gente che vivono nel migliore dei mondi possibile».
(Luis Buñuel)

Luis Buñuel sostituisce all’immagine della realtà un’espressione
di essa soggettiva e al di fuori del controllo della ragione; il suo
surrealismo è desiderio di abbattimento e negazione di tutte le
forme di costrizione e condizionamento dell’uomo sociale, di
ricerca della libertà individuale e dello spirito. La sua arte è la manifestazione
di questa libertà: uno scandalo per i benpensanti.
Dissacratore eccelso, tutte le sue opere sono un attacco metodico
alla Chiesa cattolica, alla borghesia e al suo conseguente stile
di vita. Per Buñuel, tutta la collettività nasconde i soprusi di cui
è fatta oggetto dietro la parola di Dio.
Tristana è un adattamento del romanzo di Benito Pérez Galdós,
autore anche di Nazarin. Il film racconta i condizionamenti che
le convenzioni e le ideologie della borghesia operano sul comportamento
umano. Condizionamenti che porteranno i due personaggi
a due destini diversi, seguendo un percorso in fondo
simile ma opposto: da vittima, Tristana diventerà carnefice del
suo carnefice, Don Lope, che a sua volta diventerà vittima.
Il film è racchiuso in due scene che sono infatti la stessa scena
ma da due angoli differenti: un prologo e un epilogo ci mostrano
Tristana e Saturna mentre rendono visita al figlio sordomuto
di quest’ultima. All’inizio del film le due donne, vestite di nero,
avanzano verso la cinepresa; nella scena finale ci girano la schiena.
Tristana offre all’adolescente sordomuto una mela che lui
continuerà a sgranocchiare alla fine del film.
Christine Dongan, nei Cahiers de la cinémathèque, dimostra
la convergenza tra il film e diversi temi del discorso libertino sulla
condizione femminile in Spagna e mostra come il processo di
rivolta individuale trae dal feticismo le forme di una denuncia del
potere. Per esempio: la sostituzione della testa mozza di don
Lope al campanone della chiesa (di forma fallica). La similitudine
tra la scena del campanile di Tristana e quella di El, altro film
di Buñuel del 1953, è evidente: nei due casi, l’uomo è associato alla
simbologia dell’autorità, coniugale o paterna, esercitata sulla
donna. in entrambi i film, il regista utilizza il discorso doppio del
Bene e del Male associandolo al comportamento diabolico o
cattivo di colui che si protegge dietro lo status sociale e un luogo
di culto, segno di potere. L’obbedienza alle manifestazioni esterne
del rituale religioso condiziona l’obbedienza al padre, al marito,
al maschio. Le strutture mentali rinviano le une alle altre.
Buñuel decide, durante la vecchiaia, di distruggere il mito fallico
del potere.
Abbandonata dal pittore a causa della sua malattia, Tristana
accetta di sposare Don Lope, ma questa volta medita vendetta,
soprattutto per sfogare la delusione di essere stata scartata
dal giovane, e da vittima si trasforma in carnefice. La crudeltà
di Tristana è contenuta nel sorriso satanico con cui contempla
il desiderio impotente del sordomuto onanista davanti al suo corpo
inerme, nel ripetuto sogno della testa mozza, nei gesti lucidi
e tranquilli (come di una che abbia atteso a lungo un momento
e ora se lo voglia godere fino in fondo) dell’ultima notte.
Suggeriamo tre riferimenti bibliografici:
Freddy Buache, Buñuel, L’Age d’Homme, Lausanne, 1980
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli, Milano, 1983
Marcel Oms, Don Luis Buñuel, Les Editions du Cerf, Paris, 1985

Martina Malacrida
top