Rivista per le Medical Humanities

Voce da una nube

Denton Welch
Casagrande
Bellinzona, 2006  

Letteratura e medicina: potrebbe essere l’insegna della sala di una biblioteca, anzi di un’intera biblioteca, da cui vorrei ora prendere in prestito un romanzo scritto alla fine degli anni Quaranta da un autore poco noto in Italia ma che gode di grande considerazione nei paesi anglofoni: Denton Welch. Il libro si intitola A Voice Through a Cloud ed è stato recentemente tradotto da Vanni Bianconi con il titolo Voce da una nube.
Anche se il protagonista si chiama Maurice, è un romanzo autobiografico, cavato dall’esperienza come una macchina fotografica cava le sue immagini dalla luce a colpi d’otturatore. E se tutta la luce che resta è quella che filtra da sotto la porta, ci vogliono gli ASA di Maurice alias Denton Welch, che infatti era dotato di una sensibilità accesa fino al parossismo e prima di dedicarsi completamente alla scrittura fu anche pittore.
In libri come Viaggio inaugurale (1943), In gioventù il piacere (1945) e Voce da una nube (uscito postumo nel 1950) queste svariate migliaia di ASA danno luogo a una lingua ricca, cangiante, capace di aderire sia alle pieghe della realtà materiale (ad esempio gli oggetti esposti in una bottega d’anticaglie o la vegetazione verdissima e brumosa della campagna inglese) sia a quelle della mente, sottoposta, nell’ultimo volume della trilogia, alle pressioni di un male forse incurabile e alle coazioni dell’ambiente ospedaliero.
È soprattutto per quest’ultimo aspetto che il romanzo potrebbe rivelarsi istruttivo anche da un punto di vista medico: la manipolazione del proprio corpo da parte di estranei, la violazione dell’intimità, i giochetti psicologici tra il paziente e i curanti, le frustrazioni, le provocazioni, i rancori, le infatuazioni, le gelosie, le speranze, i sollievi. Tutto ciò è raccontato con una lucidità che stupisce in uno scrittore facile alle fantasticherie e alle derive allucinatorie.
Welch aveva vent’anni quando, travolto da un’automobile mentre andava in bicicletta, subì una frattura della spina dorsale. Scampò alla paralisi ma fu l’inizio di una serie di complicazioni molto dolorose. Morì tredici anni dopo di tubercolosi spinale. Voce da una nube si apre proprio con la scena dell’incidente e si conclude con una visita alla casa che avrebbe dovuto significare, per Maurice, una nuova autonomia, per quanto ristretta. Nella premessa al romanzo Eric Oliver ci informa che negli ultimi mesi di vita Welch prendeva morfina per alleviare i dolori costanti, ma tra un accesso di febbre e l’altro continuava a scrivere, anche a costo di sforzi immani: «Verso la fine riusciva a lavorare solo tre o quattro minuti per volta, poi lo assaliva un mal di testa furioso e non ci vedeva quasi più. (...) Morì il pomeriggio del 30 dicembre 1948, sorretto anche nelle ultime ore dal grande coraggio che sembrava essere in qualche modo il frutto della sua rara intelligenza».
Fa piacere ricordare che nel 1951 Eugenio Montale recensì la versione originale del romanzo per il Corriere della Sera e definì le sue pagine «di meravigliosa purezza e intensità».

Matteo Terzaghi
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